Prima del 1945 la Valsugana, la valle di Cembra, di Non, di Sole, dei Mòcheni, di Lagaro, il Lomaso, il Terragnolese, presentavano una differenziazione casa-insediamento così personale da poterla rilevare immediatamente, senza quasi approfondirne il tema. In una stessa vallata come quella dei Mòcheni, che fino al 1950 rimase avulsa dal territorio per mancanza di strade, si concentrarono due tipi distinti di insediamento, da stupire l’etnografo e lo stesso antropologo, pur avendo un contesto comune di usi, costumi, tradizioni, religione. Percorriamo, oggi, le stesse valli, guardiamoci in giro. Rimarremmo perplessi perché non riusciamo quasi più a rintracciare quegli elementi costruttivi che le evidenziavano le une dalle altre e davano ad ognuna la loro chiara, distinta personalità. Le case che l’uomo moderno ha inserito nel paesaggio, eliminando le vecchie case, sono uguali a Pinzolo, a Tuenno, a Taio, a San Zeno, a Terragnolo, a Vigo di Fassa, a Tesero, a Canazei. Non più quindi una espressione di casa per vallate e distinta personalità, ma un territorio di uniformizzazione e monotonia edile che può trovare gli stessi riscontri nelle pianure di qualsiasi ormai anonimo paesaggio europeo occidentale. Pensiamo alla Campiglio di un tempo e a quella di oggi. Basterebbe che qualcuno inventasse una macchinetta per produrre l’aria di Campiglio per augurarci quasi di starcene seduti davanti a uno schermo a Milano.
Giuseppe Sebesta, fondatore del Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina