"Ingegnere per vocazione, fotografo per passione"
 

… perché il gusto di essere italiani è anche essere diversi gli uni dagli altri.

E questa è una cosa molto italiana, perché se è vero che in ogni Paese ci sono accenti del Nord e del Sud, non esiste una terra come la nostra dove a ogni crinale di collina cambiano inflessioni, lessico, cantilene, profumi, sapori, abitudini. Siamo un Paese di piccole patrie, e il legame con il territorio è una ricchezza, perché il gusto di essere italiani è anche essere diversi gli uni dagli altri.

Aldo Cazzullo in “A riveder le stelle”

Ritornare

La pratica del ritornare crea una singolare disposizione sentimentale: come l’attesa per un appuntamento desiderato, un risvegliarsi della memoria per luoghi, oggetti, persone, come se si riaccendesse il motore di una macchina ferma da tempo. Per Beirut è stato anche di più.

Gabriele Basilico

“Uniformizzazione e monotonia edile”

Prima del 1945 la Valsugana, la valle di Cembra, di Non, di Sole, dei Mòcheni, di Lagaro, il Lomaso, il Terragnolese, presentavano una differenziazione casa-insediamento così personale da poterla rilevare immediatamente, senza quasi approfondirne il tema. In una stessa vallata come quella dei Mòcheni, che fino al 1950 rimase avulsa dal territorio per mancanza di strade, si concentrarono due tipi distinti di insediamento, da stupire l’etnografo e lo stesso antropologo, pur avendo un contesto comune di usi, costumi, tradizioni, religione. Percorriamo, oggi, le stesse valli, guardiamoci in giro. Rimarremmo perplessi perché non riusciamo quasi più a rintracciare quegli elementi costruttivi che le evidenziavano le une dalle altre e davano ad ognuna la loro chiara, distinta personalità. Le case che l’uomo moderno ha inserito nel paesaggio, eliminando le vecchie case, sono uguali a Pinzolo, a Tuenno, a Taio, a San Zeno, a Terragnolo, a Vigo di Fassa, a Tesero, a Canazei. Non più quindi una espressione di casa per vallate e distinta personalità, ma un territorio di uniformizzazione e monotonia edile che può trovare gli stessi riscontri nelle pianure di qualsiasi ormai anonimo paesaggio europeo occidentale. Pensiamo alla Campiglio di un tempo e a quella di oggi. Basterebbe che qualcuno inventasse una macchinetta per produrre l’aria di Campiglio per augurarci quasi di starcene seduti davanti a uno schermo a Milano.

Giuseppe Sebesta, fondatore del Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina

L’ingenuo rimpianto per lo scarto tra tempo passato e tempo presente

La profondità dello scarto tra il tempo passato e il tempo presente si riconosce con straordinaria immediatezza negli scorci di Borgo Valsugana, Lardaro, Revò, Tesero, Valda – e non solo – in cui Gabriele Basilico ritrae un’impeccabile attenzione per l’ordine e la pulizia, che mai in precedenza i paesi del Trentino avevano conosciuto. Le stalle e le cantine e i solai sono trasformati in rimesse e mansarde e quanto contenevano e custodivano, ormai inutilizzato e inutilizzabile, si ritrova appeso a un muro o nell’angolo di un giardino a recitare incongruamente la parte della fioriera, relitto di un tempo cui si guarda con una sorta di ingenuo rimpianto, ma che nel contempo si vuole definitivamente passato.

Ancora le fotografie di Basilico, poste a confronto con le immagini d’epoca, rendono con singolare efficacia l’esito di un vasto processo di destrutturazione e ristrutturazione della secolare relazione tra il territorio, gli insediamenti e le attività economiche, misurando la reale distanza che nei paesi del Trentino separa il tempo presente dal tempo passato. E si tratta, in generale, di una distanza considerevole. In effetti, per quanto possa apparire paradossale, i paesi deserti d’abitanti che s’incontrano lungo l’Appennino – ma che non mancano pure in taluni settori dell’arco alpino – conservano un rapporto con il passato, in termini di continuità, di gran lunga più autentico di quanto possano vantare molti prosperi e dinamici centri del Trentino: paesi abbandonati, i primi, ma i cui edifici, lasciati a un lento, inesorabile disfacimento, custodiscono tuttavia la testimonianza fedele e intatta, se si prescinde dall’ ingiuria del tempo, di un mondo al tramonto.

Luca Faoro “Paesi (perduti) nel tempo in “Paesi perduti: appunti per un viaggio nell’Italia dimenticata”

Paesi (perduti) e relazioni (perdute)

Il dramma dei paesi perduti è la perdita di relazione, di conversazione, di dialogo. Interpretiamo l’abbandono e l’incuria innanzitutto come un fatto fisico. Ma vi è un abbandono, vi è un’incuria che non dipende dall’assenza ma che deriva dalla sospensione dell’empatia che intratteniamo con i luoghi. Non solo non si è più in grado di comprenderli, ma non si è più capaci di abitarli e viverli. Non serve dare colpa al tempo che passa e che inesorabilmente tutto scolpisce; bisognerebbe casomai riflettere su come le nostre scelte, le nostre preferenze, le nostre aspettative generano degrado e incuria. Il tema non sembra tanto quello di rapportarci a quei luoghi abbandonati e dismessi come se fossero qualcosa “fuori di noi” a cui dobbiamo trovare una nuova destinazione, ma interrogarci sulla qualità delle relazioni tra noi e il mondo, tra l’interno e l’intorno.

Gianluca Cepollaro “Paesaggi perduti” in “Paesi perduti: appunti per un viaggio nell’Italia dimenticata”

Oggi godiamo di possibilità…

Oggi godiamo di possibilità che renderebbero la vita nei borghi molto più felice e armoniosa di un tempo: nuove tecnologie, comunità ener-getiche, gruppi di acquisto solidale, svariati modi di comunicare e di creare connessioni. Fornire a quelle che definisco comunità resilienti i giusti strumenti, vuole anche dire porre le basi per risanare il rapporto con la natura e con gli ecosistemi. Un nuovo equilibrio che arricchirebbe per davvero la vita di tutti gli esseri viventi che abitano un territorio.

Proprio per questo sono convinto che tornare a dare dignità ai luoghi marginali e ai borghi della nostra bella Italia è pratica innovativa, sostenibile e lungimirante per eccellenza.

Carlo Petrini da “Un contributo sul dibattito dei paesi perduti” in “Paesi perduti: appunti per un viaggio nell’Italia dimenticata”