"Ingegnere per vocazione, fotografo per passione"
 

Che cosa ci è rimasto?

Che cosa ci è rimasto?

Sicuramente il ricordo e l’amicizia, oramai, credo, indelebili, del popolo del Trentino che per 5 mesi consecutivi rimase a Balvano, con una presenza di 100/120 uomini che si alternavano ogni 15 giorni. Di questi una parte erano tecnici, una parte operai specializzati ed una grossa parte manovalanza. Svolsero una mole di lavoro incalcolabile, portando soccorso dovunque; anche nei punti più inaccessibili del paese.

Ezio Di Carlo in “Balvano: sussulti improvvisi di terra impazzita”

A proposito di toponimi

Chi cammina sa bene cosa significano i nomi, i toponimi. Cosa significa inebriarsi dei suoni dei luoghi. Avere voglia di sedersi e di restare a masticarli per ore. E di chiedere a chiunque si incontri perché. Perché Cavallino? Perché Monte Filetto?

Emiliano Cribari in “Sull’Appennino di Dino Campana”

La mia città

Ogni città mi rivela un aspetto diverso di me stessa e ci sono città che possono aprirmi gli occhi, altre che possono chiudermeli.

Anna D’Elia in “Fotografia come terapia: attraverso le immagini di Luigi Ghirri”

L’energia del caso

Il fâneur si muove per la città senza una mappa né un piano. Deve sentirsi libero e solo, a disposizione dell’imponderabile. […] Esiste un’energia misteriosa nel caso, una corrispondenza segreta che unisce gli elementi del mondo esterno e l’interiorità dell’uomo che cammina.

Federico Castigliano in “Flâneur, l’arte di vagabondare a Parigi”

La banalità non esiste

Per chi sa leggere il testo poetico della città, ogni luogo è infinitamente ricco, la banalità non esiste.

Federico Castigliano in “Flâneur, l’arte di vagabondare a Parigi”