"Ingegnere per vocazione, fotografo per passione"
 

Ponti e frontiere

“… era un gran lavoro, c’era da montare un ponte sospeso, e io ho sempre pensato che i ponti è il piú bel lavoro che sia: perché si è sicuri che non ne viene del male a nessuno, anzi del bene, perché sui ponti passano le strade e senza le strade saremmo ancora come i selvaggi; insomma perché i ponti sono come l’incontrario delle frontiere e le frontiere è dove nascono le guerre.”

Primo Levi in “La chiave a stella”

Lavoro e felicità

“Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa à una verità che non molti conoscono.”

Primo Levi in “La chiave a stella”

Il mare

“Il mare non è altro che il veicolo di una esistenza soprannaturale e prodigiosa, è amore e movimento, è, come ha detto un vostro poeta, l’infinito vivente. (…) E grazie al mare che il mondo è per così dire cominciato e chissà che non finisca con il mare. Nel mare è la pace infinita (…).

Jules Verne in “Ventimila leghe sotto i mari”

La luce

“Diciamo spesso che l’architettura è spazio. A volte, quando cerchiamo di essere più precisi, citiamo Bruno Zevi e affermiamo che l’architettura è tempo e spazio, perché lo spazio è per sua natura incomprensibile se non lo si percorre nel tempo.

Ma c’è dell’altro – naturalmente, c’è sempre dell’altro – c’è qualcosa che circonda tutto, che accarezza ogni cosa, che lo avvolge e lo culla e lo definisce, quel tutto. C’è qualcosa a monte.

La luce.

La luce è tutto. La luce è al principio del tempo e dello spazio. La luce è il primo motore dell’architettura, l’unico che necessita di essere costantemente alimentato.

L’entità onnisciente che rende un’opera architettura. Perché l’architettura vide che la luce era cosa buona, e la uso per separare ciò che si deve fare da ciò che si deve evitare.”

Perdo Torrijos in “Territori improbabili” parlando del Museo Ebraico di Berlino

Case abbandonate

“Le case si capisce subito che sono abbandonate quando sembrano finalmente stare bene con tutto quello che c’è intorno, e prendono i colori dell’erba, della pioggia, del vento, delle cortecce, dei sassi, dei rovi e della terra; quando sembrano ancora più leggere, anche se a mettere radici imparano dagli alberi.
(…)
Tutto questo non è subito, che le case abbandonate iniziano a star bene con quello che hanno attorno solo dopo un periodo di tristezza in cui sembrano soltanto case vuote in attesa di un ritorno. Succede appena dopo l’abbandono, quando le cose aspettano ancora qualcuno che le sposti, le tocchi e le guardi; le porte e le finestre qualcuno ad aprirle e a chiuderle, il fuoco nel camino e nelle stufe a riscaldare ancora, le luci accendersi e poi spegnersi, i vestiti a infilarsi addosso, il silenzio ad aspettare i passi, il brusio delle voci, gli specchi a specchiare i corpi, i vetri ad appannarsi di fiati, riverberare le luci. C’è un silenzio fermo, ricamato da tanti piccoli rumori, tutto è lì che ancora aspetta chi abitava la casa.
Hanno pazienza le cose delle case abbandonate ma poi si stancano…

Mario Ferraguti in “La voce delle case abbandonate”

Paura d’amare

Johnny: Non devi più avere paura.


Frankie: Io ce l’ho invece. Ho paura. Ho paura di stare da sola, ho paura di non stare da sola. Ho paura di quello che sono, di quello che non sono, di quello che potrei diventare, di quello che non potrò mai diventare. Non voglio fare il lavoro che faccio per il resto della mia vita, ma ho paura di licenziarmi. E sono così stanca, sai, sono così stanca di avere paura.”

Dialogo tra i protagonisti in “Paura d’amare” di Garry Marshall con Al Pacino e Michelle Pfeiffer