"Ingegnere per vocazione, fotografo per passione"
 

ALBERI IN CITTÀ | ©2022

© 2022
ALBERI IN CITTÀ
La mostra fotografica Alberi in città è stata ideata al termine del percorso di lavoro svolto nell’ambito del progetto europeo Alptrees, dedicato alle specie arboree non native e agli impatti climatici nel territorio alpino. Tra i paesaggi onirici di LUCA CHISTÈ, le analisi urbane di GUIDO BENEDETTI, i giganti accudenti di FRANCESCO FRANZOI e le poesie nel dettaglio di DALILA BECECCHI, si dipanano quattro percorsi di ricerca e di scoperta degli alberi urbani.
Si tratta di un doveroso omaggio alla popolazione vegetale che abita gli spazi della città, attraverso un linguaggio per immagini di sorprendenti opere d’arte naturali. A volte, forzati e costretti in luoghi impropri, sono minaccia, impedimento, inciampo. Altre volte, protagonisti assoluti di spazi di comunità, sono benessere, consolazione, gioia. In ogni caso gli alberi della città sono dispositivi di vita sostenibile, fondamenta del suolo, regolatori di economia idrica, di raffrescamento, di energia chimica e di ossigeno.
Nella sala della mostra sono proposti TRE INCONTRI DI ECOLOGIA URBANA: si parla della casa che è la nostra città e territorio, presentando alcuni dei lavori svolti per Alptrees in cui la cura e il sapere degli alberi rappresentano un progetto e un impegno pubblico.
[Giovanna Ulrici]

DALILA BECECCHI
«Forme e pelle degli alberi»

«FORME E PELLE DEGLI ALBERI»
Dalila BECECCHI // 2022 // ©

A incontrare l’essenza e l’anima degli alberi, con un linguaggio asciutto e introspettivo, reso possibile dalla scelta calligrafica del bianco/nero, ci aiuta il lavoro, intimo e delicato, di Dalila Bececchi. Un’autrice che non è nuova a questo tipo di indagini, già consolidate anche in pregresse esperienze espositive.
Basandosi su un’interpretazione personale, molto vibrante e acuta, con tratti di autentica empatia con le forme degli alberi, questa autrice ne disvela la loro intima essenza, conducendo anche gli osservatori più distratti dentro la pelle degli alberi, la loro storia, le loro radici.
Un percorso visivo che ci permette, grazie alla tipologia e alla natura dei contrasti impiegati, di entrare in sintonia con le forme degli alberi, che si attorcigliano, si contorcono, si distendono. Alberi che respirano, ossigenano, e che, nelle immagini di questa fotografa, lasciano intravedere, anche dalla complessità delle loro forme, quanto viva possa essere la materia di cui si compongono e quanto essi siano importanti, anche nelle realtà urbane, per il nostro benessere psico-fisico.

GUIDO BENEDETTI
«Alberi nell’estetica urbana»

«ALBERI NELL’ESTETICA URBANA»
Guido BENEDETTI // 2022 // ©

Guido Benedetti ci accompagna nella perlustrazione dello spazio urbano cittadino, di cui gli alberi costituiscono una parte evidente, sia in termini identitari, sia come micro-contesti nell’ambito dei quali i cittadini sperimentano quel diffuso sistema di “caring ambientale”, che è tratto peculiare della città di Trento.
Essenziali e rigorose, le inquadrature di Guido Benedetti, con la loro cifra documentaria, offrono una lettura degli spazi urbani dedicati agli alberi entro la quale la cifra stilistica di questo autore viene esercitata ricercando composizioni e simmetrie formali, a forte valenza geometrica e prospettica, capaci di restituirci quell’ininterrotto dialogo che, i luoghi del verde, intrattengono con le strutture dell’abitare un territorio.
Una sequenza colta con il rigore della fotografia documentaria e con la valenza interpretativa da parte di chi, in più di una circostanza, si è dimostrato in grado di leggere il territorio e di rappresentarlo, visivamente, con l’ausilio di precise e strutturate coordinate metodologiche di analisi.

LUCA CHISTÈ
«Trento, città d’alberi»

«TRENTO CITTÀ D’ALBERI»
Luca CHISTÈ // 2022 // ©

Questo lavoro è volto a chiarire la relazione esistente fra il paesaggio (antropico od urbano), in termini di percezione, e coloro che lo osservano o lo vivono nelle ore notturne. La specificità delle luci, delle atmosfere – silenti e rarefatte – dei parchi o di molte aree verdi urbane, ci permette di apprezzare l’esistenza degli alberi come entità che, in qualche modo, offrono una cifra articolata della loro importanza per il nostro tessuto urbano e per la qualità della nostra vita.
Le ore notturne, sia per il paesaggio in generale, sia per gli spazi verdi in particolare – siano essi parchi o alberi utilizzati come semplici elementi di arredo urbano – ci offrono la possibilità di esperire, con questi luoghi, una relazione unica, basata su una diversa predisposizione mentale e psicologica, aiutandoci a ridefinire il modo stesso in cui concepiamo il rapporto fra lo spazio dove abitiamo e le aree verdi. L’indagine, condotta dalle ore del crepuscolo e fino a notte fonda, ha colto luci e atmosfere che sembrano svelare il misterioso legame che la natura selvaggia intrattiene con la città.

FRANCESCO FRANZOI
«Vivere gli alberi»

«VIVERE GLI ALBERI»
Francesco FRANZOI // 2022 // ©

Da sempre legato a temi narrativi di forte ispirazione reportistica o del “daily life”, Francesco Franzoi, sia in termini contenutistici, sia in termini calligrafici, offre una lettura acuta e originale di questo tema, regalandoci una serie di immagini capaci di mettere in relazione gli alberi e gli spazi verdi intesi come spazi di comunità.
Scatti per lo più “rubati”, frutto di appostamenti e mai banali. Immagini pensate per far capire, sia in termini sociali, sia in relazione alle attività di pianificazione delle aree verdi da parte delle istituzioni, quanto essi siano importanti per la qualità della vita e del nostro tempo libero.
Come nel caso di Dalila Bececchi, anche questo autore, al fine di permettere la massima focalizzazione sul tema, favorendo una lettura quanto più accurata del legame esistente fra le persone e gli alberi, fa impiego di un bianco/nero rigoroso e bilanciato, capace di rifuggire da facili e prevedibili soluzioni grafico/estetiche.
Pienamente iscritte dentro una forma di narrazione basata sull’immediatezza e la semplicità, le fotografie di Francesco Franzoi, ci raccontano di come le cose appaiono e, in questo specifico caso, così come reso evidente dal percorso espositivo generale, di quanto sia “strategico” e rilevante lo spazio verde pubblico, di cui gli alberi costituiscono l’accentuazione più evidente e caratteristica.

GARDUMO: la fotografia e la geografia umana (di Matteo Vicentini)

L’opera di Guido Benedetti, Gardumo 77.78/17.18, è un’esperienza più che un libro. Si tratta infatti di un lavoro da leggere ed ammirare nelle fotografie che restituiscono le descrizioni della trentina valle di Gresta, appuntate dal triestino Alessandro Cucagna, un geografo del secolo scorso. La ricognizione di allora, fatta di annotazioni e interviste alle popolazioni locali, è rappresentata quarant’anni dopo con un altro strumento di rilievo soggettivo e qualitativo: l’obiettivo fotografico. Guido è un ingegnere, un collega, che si diletta nell’arte della fotografia. Questa forma di espressione artistica è, come le altre, per sua natura soggettiva, in quanto parte dal punto di vista dell’autore, ed in questo si accosta molto alla geografia come scienza sociale. La geografia può fornire immagini ortogonali, georeferenziate ed asettiche, che sovrapposte mediante l’individuazione di punti omologhi, danno una visuale tridimensionale, quantitativa e inattaccabile di quanto rilevato.

L’opera di Guido, però, si è dotata di un obiettivo, un fine diverso. Esso si rivela scevro da velleità goniometriche, rivolto ad una narrazione, ad una rappresentazione che accosti la cattura efficace ma effimera di un punto di vista a quanto venne raccontato quarant’anni prima. A ben rifletterci mi è sembrata un’operazione di positivismo geografico ben pensata, con la peculiarità dello sfasamento temporale dei due rilievi. Questa bizzarria ci porta a fare ancora delle sovrapposizioni, a crearci dei punti omologhi del tutto personali durante la consultazione dell’opera, e a scoprire che in certi contesti immagini e narrazioni non sono poi così effimeri come si diceva. “Time stands still” in alcune aree marginali di montagna, dove l’economia e l’urbanistica locale sono ancora plasmati dai muri a secco e da abitazioni frugali che compongono piccoli agglomerati. La strada che collega le borgate con il fondovalle scandisce un tempo più ricorsivo che indirizzato, collega una realtà al riparo da lottizzazioni e gentrificazione con aree urbane che dall’industria al terziario al turismo sono cambiate profondamente in questi quarant’anni.

La scienza geografica è mutata molto nei secoli, passando dalle esplorazioni al positivismo, dalle descrizioni geomorfologiche agli aspetti politici ed umani. Più di altre discipline, la geografia ha cambiato paradigmi, fino alla svolta umanistica degli anni ’70 che l’ha inserita a tutti gli effetti nelle scienze sociali, mentre all’interno dei palinsesti scolastici la materia è progressivamente uscita di scena. Tradizionalmente la geografia esplorativa si chiude con la scalata del monte Kenya da parte del geografo britannico MacKinder (1899), ed apre la stagione da un lato del naturalismo positivista, dall’altro di una lettura politica dello strumento cartografico. La fotografia rappresenta a mio avviso un mezzo di supporto ideale per la geografia culturale, che coglie gli aspetti del paesaggio dal punto di vista del soggetto osservante e ne proietta su carta il colpo d’occhio, hic et nunc. Ci furono geografi che si cimentarono persino nella pittura, per rilevare qualitativamente paesaggi di grande presa, ad esempio il Monte Fuji fu dipinto dal grande geografo Von Humboldt, se non vado errato. Questo tipo di approccio tentacolare alla descrizione del territorio, tra immagini e scrittura, tra narrazione e tratteggio, è stato svolto da Guido sugli appunti di un altro studioso, note per giunta lontane nel tempo. Come un topografo moderno ricerca i punti fiduciali e si aggancia con un ricevitore satellitare ai chiodi di un rilievo fatto anni prima a mezzo di teodolite tradizionale, così Guido ha cercato i capisaldi di Cucagna, e ne ha arricchito la testimonianza, dando dignità e fregio ad una realtà meno conosciuta del Trentino.

Il lavoro su “Gardumo” (siamo in Provincia Autonoma di Trento), l’antica Pieve che dava il nome alla val di Gresta, viene portato a termine poco prima dell’evento che farà da spartiacque a questa prima parte del ventunesimo secolo, ovvero la pandemia di SARS-CoV2. La sciagura vissuta, a livello sanitario e probabilmente ancor più sociale, ci ha portato e ci porterà necessariamente a riconsiderare il nostro rapporto con lo spazio, il territorio, con la società e gli altri. La rappresentazione e la “ribalta” di borghi periferici è già da un anno un’operazione di cui si sente parlare con insistenza. Spazi civici, servizi personalizzati e nuove modalità di lavoro possono alleggerire i problemi logistici di paesi dislocati e diviene possibile, anche in questi luoghi, fare comunità in modo diverso, attrarre persone con sensibilità particolari, lusingare le seconde e terze generazioni di lavoratori che sono emigrati a corto raggio, dare agio ai residenti riducendone il pendolarismo. La bella realtà descritta dalla penna di Cucagna e dall’obiettivo di Guido potrà continuare a vivere con forme di aggregazione. Esse, se saranno supportate da progetti di sviluppo sostenibile, si possono arricchire di nuovi spunti, spunti ovviamente “smart”, mentre per una valle che non subisce una significativa riduzione demografica, come mi è parso di vedere incrociando i dati degli ultimi 70 anni, non scomodo la parola “resilienza”, termine cacofonico ed ubiquitario che lascio ad altri chiosatori. Per contro la sostenibilità, io credo, ce l’ha insegnata proprio la gente che abita in borgate come Gardumo, a noi basterebbe guardare e imparare.

Originale in: https://www.geomagazine.it/2021/08/07/gardumo-la-fotografia-e-la-geografia-umana/

About the Author

Matteo Vicentini – Ingegnere, si è sempre occupato di idraulica ed energia. La passione per la geografia l’ha portato a laurearsi in geografia umana nel novembre 2020 con una tesi sulla via Francigena e gli itinerari culturali. Lavora in Africa e si occupa di sviluppo di nuovi impianti idroelettrici, progettazione, costruzione e manutenzione di impianti ad energia rinnovabile. Conosce le lingue e ritiene sempre formativo e di grande crescita il confronto con le altre culture.

Scrivi a gardumo@guidobenedetti.it per acquistare una copia del libro.

La Val di Gresta attraverso gli scatti di Guido Benedetti (di Romina Zanon)

In edicola sul numero 9 Ottobre 2021 di “ARTE TRENTINA

Attraverso il progetto fotografico “Gardumo 77.78│17.18” (Gardumo è il nome dell’antica Pieve che raccoglieva le sette comunità della Val di Gresta), Guido Benedetti trasfigura in immagine gli appunti che il geografo Alessandro Cucagna raccoglie durante alcune escursioni in Val di Gresta effettuate fra il novembre del 1977 e il novembre dell’anno successivo.

Nelle note, che vengono successivamente rielaborate in uno scritto più organico, Cucagna legge e descrive il paesaggio avvalendosi non solo della conoscenza diretta del territorio, ma anche della memoria orale di persone del luogo e delle informazioni fornite dalle antiche carte geografiche e dalla letteratura. A quarant’anni di distanza, nel 2017/2018, Benedetti traduce visivamente gli scritti del geografo in quaranta istantanee (selezionate da circa duemila scatti) che, attraverso un linguaggio di matrice prettamente descrittiva, restituiscono la lucida attenzione analitica applicata dal geografo nella lettura dello spazio agricolo come bene paesaggistico, sociale ed economico.

Nello specifico, il suo obiettivo si apre al paesaggio della Val di Gresta nel tentativo di cogliere l’evoluzione dei segni lasciati dall’uomo nel processo di antropizzazione di quello specifico territorio. Con un linguaggio misurato, figlio di una piena padronanza tecnica, approda a quadri visivi raffiguranti scorci di paesaggio come frammenti di realtà fisiche e culturali inscindibilmente unite e compresenti pur risalendo a epoche storiche diverse, continuamente modificabili e modificate, le cui relazioni restituiscono un’espressione concreta dell’identità territoriale della Val di Gresta. Colta nell’oscillante ambivalenza tra ruralità e modernizzazione, la valle è raffigurata come un insieme di segni che rimandano alle relazioni interne della società che la abita e alle modalità di utilizzo dell’ambiente in conformità a un confronto tra economia e natura che varia secondo le forme di organizzazione che le stesse comunità sono riuscite a costruire nello spazio con il passare dei decenni. Così come nel taccuino di viaggio che nelle fotografie, i segni del progresso tecnico-industriale innescato dal boom economico del miracolo italiano coesistono con aspetti ancorati a una dimensione agreste che mantiene intatta nel tempo antiche tradizioni produttive e culturali.

Seguendo le precise indicazioni geografiche contenute negli appunti di Cucagna, Benedetti s’avvicina lentamente e gradatamente ai soggetti descritti, scegliendo con attenzione l’angolo di ripresa, disegnando accuratamente la composizione del quadro fotografico e sfruttando i sempre diversi grovigli di sfumature cromatiche e stratificazioni di luci e ombre offerti dal momento e dalla posizione. Il suo sguardo contemplativo coglie con rigore analitico la complessità figurativa dello spazio agrario grestano attraverso una prospettiva di interpretazione unitaria volta a valorizzare l’intero ambito della valle e sottolineare l’importanza di una visione globale del territorio per la corretta comprensione del reticolo culturale, sociale ed economico che ne fonda le basi identitarie.

Il lavoro è stato pubblicato in un libro dall’omonimo titolo che raccoglie anche gli appunti di Alessandro Cucagna “La valle di Gresta” e “Da Loppio a Chienis-Ronzo”(http://www.guidobenedetti.it).

Scrivi a gardumo@guidobenedetti.it per acquistare una copia del libro.

Copertina del n. 9 di Arte Trentina – Ottobre 2021

Messaggio di Gabriele Tartoni

Arrivato! Ottimo lavoro.
Molto vicino a quello di un fotografo mio amico abruzzese, Daniele Cinciripini, che ti consiglio di guardare.
Il tuo è un lavoro molto coerente, pulito, incisivo, di carattere documentaristico, descrittivo, ma con un’anima evidente che deriva dal tuo amore per questi luoghi. Osservando le tue foto mi sembra di essere dentro questo territorio. Bella anche l’impaginazione e la confezione.
Ti ringrazio per avermelo mandato.
A vederci presto a qualche lettura.
Gabriele Tartoni.