“La verità, l’ho già detto, è che a me scrivere libri non piace. Preferisco sognarli, immaginarmeli. Scrivere mi fa penare, angosciare, soffrire. Quando finalmente mi metto sotto, quando mi chiudo nel bozzolo e mi immergo nella scrittura, faccio tutto come in apnea, trattenendo il fiato, quasi avessi paura delle mie deiezioni, del puzzo intollerabile delle mie stesse parole. Poi, però, quando vedo la luce in fondo al tunnel, quando ormai la strada è davvero in discesa, lasciate alle spalle le asperità del paesaggio scribatorio, quando ormai sono ad un passo dal mettere il punto finale, quello che non prevede a capo, ecco, li, in quel momento, mi prende come uno struggimento, una malinconia.
Mi manca già, prima ancora di liquidarlo definitivamente, proprio quello che per tutto questo tempo mi ha fatto soffrire. Mi comporto come un padre che non accetta l’idea che la propria figlia sia davvero cresciuta, che ormai abbia raggiunto la maggiore età e che abbia tutto il diritto di farsi una famiglia, una vita. Mi comporto come se non volessi che uscisse di casa, che mi abbandonasse. Mi coccolo quello che scrivo con una dolcezza pelosa e ridicola, lo cullo, tergiverso sulle parole, perdo tempo.
Gianni Biondillo in “Tangenziali”
È vero, chiudere un’avventura, un progetto, una ricerca, che ci ha molto appassionato è sempre difficile. La voglia è quella di continuare o, al limite, ricominciare. Poi si torna alla realtà e si assapora la “fine” dell’avventura con il pensiero già alla definizione della prossima.