Guido Benedetti

"Ingegnere per vocazione, fotografo per passione"
 

… molti non sono stati solo mutamenti del paesaggio, quanto cambiamenti del vivere.

Forse alla fine i luoghi, gli oggetti, le cose o i volti incontrati per caso, aspettano semplicemente che qualcuno li guardi i riconosca, e non li disprezzi relegandoli negli scaffali dello sterminato supermarket dell’esterno. Forse questi luoghi appartengono più al nostro esistente che alla modernità e non solo ai deserti o alle terre desolate. Aspettano forse nuove parole o nuove figure, perché quelle che conosciamo sono da troppo usurate, e perché molti non sono stati solo mutamenti del paesaggio, quanto cambiamenti del vivere. In tutto questo mi sembra di leggere, soprattutto, una sorta di stato di necessità affinché il paesaggio di cui parliamo, luogo del presente, si trasformi e non rimanga luogo di nessuna storia e di nessuna geografia.

Luigi Ghirri da “Per un’idea di paesaggio”

Perché il lavoro è dignità; come l’insegnamento, come lo studio.

Nell’Italia dei nostri padri la ricchezza era ancora legata al lavoro. Lavoro spesso svolto in condizioni durissime: sfruttamento, mezzadri in balia del padrone, ragazzini e donne al nono mese di gravidanza chine sui campi; e poi ciminiere in città, reparti verniciatura, acciaierie in riva al mare. Ma comunque era il lavoro – in campagna, in fabbrica, nei servizi – a produrre la ricchezza. Ora i soldi si fanno con altri soldi. Il lavoro sembra non valere più nulla. Viene esportato, in Paesi dove costa molto meno; sostituito dalle macchine intelligenti; reso inutile dalla Rete; affidato a immigrati disposti a faticare molto in cambio di poco, magari in nero. (…) L’economia mondiale era adagiata su una montagna di carta destinata a franare alla prima emergenza. Il coronavirus è stato un’emergenza al di là di qualsiasi previsione. E ora che si tratta di ripartire, dovremmo ritrovare non solo lo spirito, ma anche il metodo con cui le nostre madri e i nostri padri ricostruirono l’Italia dalle macerie della seconda guerra mondiale: il lavoro. Perché il lavoro è dignità; come l’insegnamento, come lo studio. Sono queste le uniche leve che possono innalzarci al livello di quella grandezza, di quell’eterno genio italiano che è il vero centro della poesia di Dante.

Aldo Cazzullo in “A riveder le stelle”

… perché il gusto di essere italiani è anche essere diversi gli uni dagli altri.

E questa è una cosa molto italiana, perché se è vero che in ogni Paese ci sono accenti del Nord e del Sud, non esiste una terra come la nostra dove a ogni crinale di collina cambiano inflessioni, lessico, cantilene, profumi, sapori, abitudini. Siamo un Paese di piccole patrie, e il legame con il territorio è una ricchezza, perché il gusto di essere italiani è anche essere diversi gli uni dagli altri.

Aldo Cazzullo in “A riveder le stelle”

Ritornare

La pratica del ritornare crea una singolare disposizione sentimentale: come l’attesa per un appuntamento desiderato, un risvegliarsi della memoria per luoghi, oggetti, persone, come se si riaccendesse il motore di una macchina ferma da tempo. Per Beirut è stato anche di più.

Gabriele Basilico

“Uniformizzazione e monotonia edile”

Prima del 1945 la Valsugana, la valle di Cembra, di Non, di Sole, dei Mòcheni, di Lagaro, il Lomaso, il Terragnolese, presentavano una differenziazione casa-insediamento così personale da poterla rilevare immediatamente, senza quasi approfondirne il tema. In una stessa vallata come quella dei Mòcheni, che fino al 1950 rimase avulsa dal territorio per mancanza di strade, si concentrarono due tipi distinti di insediamento, da stupire l’etnografo e lo stesso antropologo, pur avendo un contesto comune di usi, costumi, tradizioni, religione. Percorriamo, oggi, le stesse valli, guardiamoci in giro. Rimarremmo perplessi perché non riusciamo quasi più a rintracciare quegli elementi costruttivi che le evidenziavano le une dalle altre e davano ad ognuna la loro chiara, distinta personalità. Le case che l’uomo moderno ha inserito nel paesaggio, eliminando le vecchie case, sono uguali a Pinzolo, a Tuenno, a Taio, a San Zeno, a Terragnolo, a Vigo di Fassa, a Tesero, a Canazei. Non più quindi una espressione di casa per vallate e distinta personalità, ma un territorio di uniformizzazione e monotonia edile che può trovare gli stessi riscontri nelle pianure di qualsiasi ormai anonimo paesaggio europeo occidentale. Pensiamo alla Campiglio di un tempo e a quella di oggi. Basterebbe che qualcuno inventasse una macchinetta per produrre l’aria di Campiglio per augurarci quasi di starcene seduti davanti a uno schermo a Milano.

Giuseppe Sebesta, fondatore del Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina

L’ingenuo rimpianto per lo scarto tra tempo passato e tempo presente

La profondità dello scarto tra il tempo passato e il tempo presente si riconosce con straordinaria immediatezza negli scorci di Borgo Valsugana, Lardaro, Revò, Tesero, Valda – e non solo – in cui Gabriele Basilico ritrae un’impeccabile attenzione per l’ordine e la pulizia, che mai in precedenza i paesi del Trentino avevano conosciuto. Le stalle e le cantine e i solai sono trasformati in rimesse e mansarde e quanto contenevano e custodivano, ormai inutilizzato e inutilizzabile, si ritrova appeso a un muro o nell’angolo di un giardino a recitare incongruamente la parte della fioriera, relitto di un tempo cui si guarda con una sorta di ingenuo rimpianto, ma che nel contempo si vuole definitivamente passato.

Ancora le fotografie di Basilico, poste a confronto con le immagini d’epoca, rendono con singolare efficacia l’esito di un vasto processo di destrutturazione e ristrutturazione della secolare relazione tra il territorio, gli insediamenti e le attività economiche, misurando la reale distanza che nei paesi del Trentino separa il tempo presente dal tempo passato. E si tratta, in generale, di una distanza considerevole. In effetti, per quanto possa apparire paradossale, i paesi deserti d’abitanti che s’incontrano lungo l’Appennino – ma che non mancano pure in taluni settori dell’arco alpino – conservano un rapporto con il passato, in termini di continuità, di gran lunga più autentico di quanto possano vantare molti prosperi e dinamici centri del Trentino: paesi abbandonati, i primi, ma i cui edifici, lasciati a un lento, inesorabile disfacimento, custodiscono tuttavia la testimonianza fedele e intatta, se si prescinde dall’ ingiuria del tempo, di un mondo al tramonto.

Luca Faoro “Paesi (perduti) nel tempo in “Paesi perduti: appunti per un viaggio nell’Italia dimenticata”