New York era un luogo inesauribile, un labirinto di passi senza fine: e per quanto la esplorasse, arrivando a conoscerne a fondo strade e quartieri, la città lo lasciava sempre con la sensazione di essersi perduto.
Perduto non solo nella città, ma anche dentro di sé.
Ogni volta che camminava sentiva di lasciarsi alle spalle se stesso, e nel consegnarsi al movimento delle strade, riducendosi a un occhio che vede, eludeva l’obbligo di pensare; e questo, piú di qualsiasi altra cosa, gli donava una scheggia di pace, un salutare vuoto interiore.
Il mondo era fuori di lui, gli stava intorno e davanti, e la velocità del suo continuo cambiamento gli rendeva impossibile soffermarsi troppo su qualunque cosa.
“… l’autunno è una poesia dolcissima tra quello che è vecchio e quello che arriverà. Le foglie che hanno fatto il loro tempo fanno spazio a quelle che nasceranno, consegnandosi alla terra.
È un gran cadere, quello della foglia, pieno di passione e speranza. Perciò sono dipinte di rosso, arancio e sembrano più belle: sono innamorate. Lo sanno bene loro che l’amore è una promessa per chi verrà dopo».
“Il limitare del letto del fiume ricorda i dintorni dei binari della ferrovia. Piante e sassi si mescolano in un disordine giovane e più o meno abitato. Qui la scarsa presenza dell’umano attira camminatori che hanno voglia di inoltrarsi in un angolo silenzioso accompagnato dal suono dell’acqua che muta al mutare delle stagioni e che oramai per lunghi mesi lo si aspetta come un suono antico e prezioso, che non sappiamo il tempo che durerà. Solo che il fiume si sposta, a differenza dei binari, e a ogni stagione perdi i punti di riferimento che dicevano una via, un sentiero, e devi ricominciare da capo. A percorrere lo snodo del fiume ci si ritrova nel mezzo della frattura che separa due versanti e che a nord arriva fino alla pianura e a sud risale le terre alte fino alle sorgenti nei pressi dell’Alpe.
Elisa Veronesi in “Atlante appenninico: un’ecobiografia”
“… vorrei suggerire di non stare a lesinare: soste troppo frettolose non concedono né di godere del luogo in cui sei arrivato, né di ripensare al percorso, permettendo di scorrere la galleria delle immagini che si sono accumulate in te, e soprattutto di ricaricarti.
Non avere come compagna la fretta di arrivare alla meta. Non pensare di stare sprecando tempo (…) L’ansia dell’arrivo (…) guasta il cammino, sminuisce o altera le nostre percezioni, ci impedisce di entrare in sintonia (…) con l’ hic et nunc…”
“… se sei stanco e la strada ti offre un buon posto, fermati. Non rimandare pensando dentro di te che ce ne sarà un altro altrettanto buono più avanti, che è meglio proseguire e non farsi attrarre dalle lusinghe del percorso. No, tu fermati.
La strada non è mai uguale a se stessa. Se il tuo istinto ti ha fatto cogliere l’essenza di un luogo, un genius loci che si è balenato a te, fermati e vivilo.”
“… le cose ci sopravvivono e restano ferme come le abbiamo messe (…) semplicemente ferme ad aspettare niente; perché è solo nostra l’attesa, è solo nostro il dividere il tempo, l’aspettarlo o il rimpiangerlo.
Alle case e alle cose basta restare ferme, è solo nostra l’ansia del passare del tempo.”
Mario Ferraguti in “La voce delle case abbandonate”