"Ingegnere per vocazione, fotografo per passione"
 

Opere pubbliche: indennizzi e compartecipazione alle spese

Il 26 aprile 2012 è stata promulgata la legge provinciale n. 7 – approvata all’unanimità dal Consiglio Provinciale – che prevede indennizzi fino al 70% dei mancati introiti, alle aziende che durante l’esecuzione dei lavori pubblici più importanti (superiori ad un milione di euro) subiscono “danni economici”. Il calcolo del “danno”, chiarisce il comunicato stampa del Consiglio Provinciale, sarà calcolato mediante il raffronto del fatturato dello stesso periodo dell’anno precedente.

Il principio che sta alla base di questa nuova norma di Legge è interessante: gli operatori economici che, a causa della realizzazione di lavori pubblici, subiscono una riduzione di fatturato, devono essere risarciti.

A questo punto sono opportune una raccomandazione ed una domanda.

La raccomandazione è diretta a chi dovrà redigere il regolamento della legge: è doveroso infatti fare in modo che il risarcimento non sia destinato solo al titolare, che in molti casi a fronte di un calo di fatturato ha limitato le spese licenziando i propri collaboratori o non rinnovando il loro contratto, ma anche a chi è rimasto a casa e ha subito i veri “danni economici”.

La domanda nasce invece dalla presa d’atto che l’importante principio sopra ricordato ha assunto valore di Legge.

Considerato che la realizzazione di un’opera pubblica, e in particolare la realizzazione o il miglioramento di un nuovo collegamento stradale, comporta sicuramente un incremento del valore economico delle aree situate nelle vicinanze (ricordo che questo principio mi è stato insegnato anche in alcuni corsi universitari) per la migliorata accessibilità delle aree stesse, non è il caso di prevedere una compartecipazione alle spese da parte degli operatori economici beneficiati da questi incrementi di valore?

La compartecipazione alle spese per la realizzazione di opere pubbliche, oltre che un benefico effetto per le finanze pubbliche – particolarmente importante in questo momento di grave difficoltà – e di conseguenza per il mantenimento dei “servizi sociali”, sarebbe oltremodo fondamentale per garantirne la realizzazione nei modi e nei tempi condivisi da tutti gli stakeolder.

Con questo meccanismo sarebbe possibile integrare – con capitale privato – i finanziamenti dei lavori previsti dall’ente pubblico consentendo in questo modo il compimento completo di opere che, in alcuni casi, sono progettate “al risparmio” e quindi realizzate solo in parte.

Questo potrebbe essere il caso della Mori-Busa, la ormai attesissima nuova viabilità per il collegamento di Rovereto con l’Alto Garda (“Busa”).

Per la nuova strada, fortemente richiesta e di grande interesse per tutta l’economia dell’Alto Garda che lamenta ormai da decenni lo stato deficitario dell’attuale viabilità progettata e realizzata negli anni 30 del secolo scorso, esiste una soluzione che ho già definito “integrale nel senso più esteso del termine” e che, oltre a risolvere le attuali problematiche di tipo viabilistico, risulta facilmente “riciclabile” per le future tipologie di mobilità e costituisce un importante investimento per i suoi notevoli risvolti urbanistici ed ambientali.

Considerati gli alti costi preventivati, l’ente pubblico ha però già ridotto l’investimento previsto in un primo tempo predisponendo una soluzione viabilistica parziale che non risolve tutti i problemi sul tappeto e che è fortemente limitata nei suoi aspetti positivi.

In questo caso la compartecipazione degli operatori economici alla realizzazione dell’opera potrebbe contribuire a far sì che venga realizzata la migliore soluzione possibile richiesta dai Territori che ne diventerebbero il principale sponsor.

Sorge quindi spontanea un’altra domanda: chi è disposto a sostenere in consiglio provinciale un disegno di legge che sancisca anche questo principio?

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Testo dell’articolo di legge approvato:

Art. 47 bis – Indennizzi

1. Per ridurre le perdite economiche derivanti dalla chiusura parziale o totale di strade o piazze a causa dell’apertura di cantieri per l’esecuzione di opere pubbliche di importo pari o superiore ad un milione di euro, la Provincia concede contributi a fondo perduto, a titolo di indennizzo.

2. I contributi spettano ai titolari di imprese che hanno subito perdite, in termini di minori entrate o maggiori spese, per effetto della chiusura al traffico veicolare o anche solo pedonale della strada o della piazza costituenti l’accesso principale all’esercizio. La chiusura deve avere una durata non inferiore a trenta giorni.

3. La richiesta di contributo è presentata nell’ambito di una specifica conferenza pubblica d’informazione e concertazione, ed è accompagnata dall’indicazione della percentuale di perdita ipotizzata rispetto agli introiti dell’anno precedente, con riferimento al tempo previsto per il cantiere.

4. Il contributo richiesto, previa valutazione ed eventuale rideterminazione dell’importo, è concesso nella misura massima del 70 per cento della perdita riconosciuta. Per la copertura di tali oneri si procede a carico del quadro di spesa dell’opera o facendo ricorso ad un fondo istituito nell’ambito dello strumento di pianificazione. Al fine della liquidazione del contributo il richiedente deve fornire prova dell’effettiva perdita subita.

(omissis)

“Comunità Autonoma” di Giorgio Lunelli

A proposito di “radici” e di identità (di cui ho parlato nel mio post) riporto volentieri il pensiero di Giorgio Lunelli pubblicato il 24 aprile 2012 sul suo sito. (segnalo inoltre l’intervento su “politica è responsabilità”)

“La dimensione identitaria non può essere l’elemento costitutivo e caratterizzante dell’Autonomia. Se così fosse, l’Autonomia sarebbe solo luogo delle radici, non capacità di protendere i rami verso il mondo. L’Autonomia deve essere predisposizione a rafforzare – grazie all’autogoverno – le forze vive di un territorio, a fare meglio e prima, a consentire un incrocio fecondo (e non di rottura) tra i flussi e i luoghi. Guai se l’autonomia si riduce all’apologia del campanile, alla esaltazione della particolarità, alla presunzione dell’autosufficienza e al primato dell’autoreferenzialità.

L’Autonomia deve essere – sempre più – occasione di rafforzamento di una Comunità. Soprattutto se questa Comunità – come nel caso del Trentino – non è una cifra unica, ma è, piuttosto, l’insieme di tante comunità che nei secoli hanno cercato di darsi delle regole prima ancora di stabilire dei diritti derivanti dall’appartenenza. Ciò anche per fronteggiare i limiti e i bisogni derivanti dalla morfologia alpina.

I nostri territori non sono mai stati luogo della chiusura. Non possono diventarlo oggi che il mondo è diventato piccolo e tutto gira così veloce: sarebbe sciocco e controproducente. Per questo ho sempre sostenuto che “la terra è di chi la ama, non di chi la possiede” che evidenzia l’importanza del sentirsi appartenenti ad una comunità quale processo di partecipazione, non mai di semplice effetto di un diritto. Perché comunità è innanzitutto condivisione; sono le relazioni, a fare una comunità. E una “Comunità Autonoma” è espressione che non si limita ad evidenziare una particolare condizione, piuttosto un obiettivo che si rinnova ogni giorno.

Ciò rende ancor più evidente il ruolo essenziale della politica e la necessità di ripensare alle forme della politica. A partire dalla dimensione territoriale: un partito, cioè, che sappia proporre soluzioni originarie alla perdita di legami sociali, alla crisi dei meccanismi partecipativi, alla cultura plebiscitaria, a tutto ciò che han fatto sì che i partiti diventassero solo macchine elettorali.”

Le auto blu di Monti: demagogia e cattivo “giornalismo” favoriscono l’antipolitica

Oggi pomeriggio, dopo aver partecipato al saggio scolastico di Jacopo, ho avuto occasione di ascoltare alla radio, su un noto NetWork privato nazionale, un’intervista all’onorevole Daniela Santanchè condotta dai d.j. del programma.

Nell’intervista l’onorevole Santanchè, molto ben sostenuta dai due “imparziali” conduttori, ha colto l’occasione per attaccare il governo Monti partendo dalla notizia – diffusa, chiaramente, in modo artefatto – che il governo starebbe effettuando l’acquisto di 400 nuove auto blu.

Devo dire che il tono degli intervistatori e il registro dell’intera intervista mi ha dato molto fastidio; a mio parere questo tipo di “giornalismo” (sempre che di giornalismo si possa parlare) che si basa solo sul titolo delle notizie senza effettuare i necessari approfondimenti, contribuisce – in alcuni casi n modo determinante – ad alimentare il vento dell’antipolitica che sta spirando molto forte in questi mesi e non aiuta certo a vedere le cose in modo oggettivo.

In questo caso, infatti, una scelta volta alla razionalizzazione del patrimonio pubblico e della sua gestione viene male interpretata e trasmessa agli ascoltatori facendola passare per una scelta volta, al contrario, ad aumentare la spesa pubblica.

Consip, che rappresenta una società per azioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze, effettua, infatti numerose gare d’appalto per l’affidamento di altrettante “convenzioni”.

Le convenzioni così stipulate, riferite ai più svariati settori merceologici (carburanti, auto, mezzi in generale, carta per fotocopiatrici, penne, pannolini per incontinenti ecc.) sono messe a disposizione di tutte le amministrazioni pubbliche (sia locali che centrali) che se ne possono avvalere per effettuare i propri acquisti ai migliori prezzi possibili ottenendo quindi significativi risparmi.

Le gare sono infatti effettuate in modo aggregato per grandi quantitativi; in questo modo è quindi possibile ottenere percentuali di ribasso più consistenti rispetto sia ad un acquisto diretto (con un’unica offerta) che ad una gara svolta per poche unità di materiale.

L’invito a tutti i “giornalisti” è quindi – prima – quello di approfondire le notizie e – poi – quello di divulgarle nel modo più veritiero e corretto possibile.

Solo mediante un forte impegno di tutti a “dire la verità”, senza nascondere i problemi e senza nemmeno inventarli, il nostro paese potrà riprendere la fiducia in se stesso e proseguire tutto compatto verso un futuro che tutti speriamo migliore.

Radici, metafore e Cristianesimo

La settimana scorsa ho effettuato il mio primo acquisto on-line acquistando due libri molto diversi tra loro: “Contro le radici” di Maurizio Bettini e “Le sante dello scandalo” di Erri De Luca.

Il primo libro (Contro le radici) riflette sul significato delle parole identità e tradizione e sulla metafora – oggi molto utilizzata – delle radici, sostenendo che si tratta di una metafora inappropriata, e per giunta escludente, in quanto l’identità non è qualcosa che si trasmette con il DNA delle persone e la tradizione non è trasmessa meccanicamente da una generazione all’altra ma al contrario l’identità e la a tradizione di una popolazione sono continuamente arricchite con il passaggio delle generazioni e con i contatti con altre identità/tradizioni. L’autore propone quindi l’utilizzo di una metafora “orizzontale” – da contrapporre a quella “verticale” dell’albero con le radici – che vede la tradizione raffigurata da un alveo di un fiume in cui – via via – si immette l’acqua proveniente da una miriade di “fonti, ruscelli, torrenti, affluenti” che concorrono poi a formare un corso d’acqua maggiore.

Il secondo libro (Le sante dello scandalo) ricorda la storia delle cinque donne – tutte straniere – inserite, assieme ad altri 37 uomini, nella linea genealogica di Gesù dall’evangelista Matteo; si tratta di storie molto particolari utilizzate da Erri De Luca per rivisitare il ruolo femminile nell’Antico Testamento. Erri De Luca stesso in un’intervista ha dichiarato che “Le sante dello scandalo” “sono state donne straordinarie che si sono imposte con le loro diversità in un contesto maschile molto legale: con la loro disobbedienza alle leggi le hanno in realtà meglio applicate”.

La lettura, molto vicina nel tempo, dei due libri mi ha fatto cogliere, un’ulteriore caratteristica delle cinque “Sante”: si tratta di cinque donne straniere appartenenti “a popoli presenti nella terra promessa prima della conquista” da parte del popolo ebreo.

E’ così possibile affermare che l’identità e la tradizione cristiana si è formata – come il fiume della metafora sopracitata – mediante il continuo affluire di diversi contributi sia interni che esterni; in questo modo il concetto di “purezza di sangue” è stato definitivamente allontanato dalla storia ebraico-cristiana.

In definitiva, come scrive Erri De Luca, “il Messia è meticcio” e ciò “è una lezione grandiosa, poco risaputa e poco ripetuta”.

In altre parole: quando si parla di tradizione, identità, e valori cristiani non possiamo fare riferimento alla metafora delle radici ma, semmai, utilizzare la metafora del grande fiume che – scorrendo lento nel fondovalle – si arricchisce dei materiali trasportati dai suoi affluenti.