“Una volta non fa numero” recita un proverbio tedesco per bambini.
Da bambino mi sembrò sempre molto evidente. Ma, perlomeno quando si scatta una foto, non è cosi.
In questo caso Una volta è l’Unica volta.
Win Wenders

“Una volta non fa numero” recita un proverbio tedesco per bambini.
Da bambino mi sembrò sempre molto evidente. Ma, perlomeno quando si scatta una foto, non è cosi.
In questo caso Una volta è l’Unica volta.
Win Wenders
“Il lavoro di ‘stile documentario’ ha sempre come base un bisogno di conoscenza della realtà urbana che sta davanti a noi. Ma, da un’osservazione più attenta, si possono leggere dentro le fotografie tantissime altre cose: trovare il rapporto con la memoria di altri luoghi, mettere in luce la vera identità di un quartiere normalmente invisibile agli occhi degli altri, restituire dignità estetica alla mediocrità o verificare la drammaticità di alcune contraddizioni. Tutto questo e altro è per me talmente interiorizzato da farmi considerare un lavoro sempre collegato a un altro: penso ai lavori su Parigi, Berlino o Milano come a un unicum separato solo dalla geografia e dal tempo.”
Gabriele Basilico
“Se amiamo l’architettura e l’urbanistica, buttiamo le guide (anche questa se volete) e facciamoci indirizzare dalle persone che incontriamo, cerchiamo di seguirne i flussi, respiriamo la città al ritmo dei loro passi, leggiamola con loro mentre prendono la metropolitana, mentre sono in coda in un bar, mentre leggono su una panchina. Guardiamo come si muovono le famiglie, quanti figli hanno. Sbirciamo dalle vetrine dei ristoranti.
Scopriremo un mondo straordinario che nessuna mappa ci può restituire. La città è il suo tessuto connettivo, spaziale e sociale, delle eccellenze e delle fragilità ; è fatta sì di episodi rilevanti, ma anche di trame e di orditi che li connettono, è palinsesto di luoghi e di persone.
A me della città piace osservare, studiare, cercare di capire le persone che le abitano o le attraversano. Studio il loro passo quando camminano perché dice molto del ritmo della città, leggo nei loro sorrisi o nei loro mugugni la gioia o il dolore che la città trasmette, ammiro i loro indumenti più ricorrenti (sono un sensore fedelissimo dello stile della città) e cerco sempre di leggere cosa scrivono e disegnano o di capire cosa leggono.
Spesso le fotografo e altrettanto spesso mi scoprono a osservarle o a immortalarle. Con il tempo ho imparato a rivolgere un sorriso disarmante che mi evita guai, talvolta facciamo amicizia.”
Maurizio Carta in “Romanzo urbanistico: storie dalle città del mondo”
“Al bar si cantava sempre e potevamo star sicuri che durante o dopo l’esecuzione sarebbe arrivata un bottiglia di vino offerta da qualcuno di passaggio che aveva apprezzato lo show. Era un modo per stare insieme, le note erano un collante fra i ragazzi ma anche tra giovani e adulti.
Oggi si canta sempre più raramente; “le cante” sono eseguite da ensemble corali che, per la loro raffinatezza, sembrano uscite tutte da qualche conservatorio. Da poco è capitato a me e Silvana di sentirne una a Pistoia, dove eravamo andati a visitare le antiche chiese. In una di queste, San Giovanni Fuorcivitas, sotto a uno splendido crocifisso ligneo del Seicento, un coro di alpini con tanto di cappello e penna ha interpretato molte canzoni di Bepi De Marzi, e ha concluso con una delle più antiche e popolari, Sul cappello, la preferita di mio suocero che cantava sempre con la mano sul cuore.
Abbiamo cantato anche noi sottovoce, pensando a lui.”
Daniele Zovi