"Ingegnere per vocazione, fotografo per passione"
 

Paesaggio come “corpo”

Proprio perché per Basilico il paesaggio è corpo, il suo lavoro non si è mai fermato: l’iterazione, il ritorno sui luoghi, il modo laborioso di guardare e riguardare i contesti urbani e metropolitani contemporanei nel loro crescere, articolarsi, sorprendente rivelarsi per il tramite della lettura fotografica, sono il metodo di questo artista che ha sempre coniugato una sicura progettualità con una nascosta emotività. Le sue sono state azioni pianificate e insieme sentimentali che hanno portato alla costruzione di grandi serie di immagini non rispondenti a criteri di una rigida serialità, ma invece strutturate secondo un continuo avvicendarsi di tipologie ricorrenti: appunto quell’andamento che abbiamo definito sinusoidale già presente in nuce in “Milano ritratti di fabbriche”. Dopo quella prima significativa esperienza egli ha osservato il paesaggio secondo grandezze diverse dello sguardo, ora staccandone ed evidenziandone gli elementi emergenti, ora affrontandone il complesso tessuto, ora adottando slittamenti di grandezze all’interno di uno stesso lavoro e anche livelli dello sguardo e punti di vista diversi, fino alla veduta dall’alto, adottata a metà degli anni Ottanta durante i lavori per la Mission Photographique de la DATAR, il grande progetto di committenza dello Stato francese dedicato al paesaggio contemporaneo, poi a Beirut e in seguito in molti lavori fino ai primi anni Dieci del Duemila, forse a significare il tentativo estremo di prendere in considerazione tutto l’insieme della città, tutto il paesaggio possibile, e infine anche rotazioni della macchina che danno come esito dinamiche vedute diagonali quasi di tono strutturalista, come nell’ampio lavoro su Mosca.

Roberta Valtorta nella sua introduzione all’edizione 2022 di Milano Ritratti di fabbrica

… un errabondo allenamento della percezione

… quello del flȃneur è un modo di vivere lo spazio urbano nato in epoca moderna e consiste nel piacere di vagare abbandonandosi a una esplorazione libera da programmi precisi e mete prestabilite. Non un inutile perder tempo, ma un errabondo allenamento della percezione, un’apertura sensoriale al godimento di tutto ciò che avviene nella città, molto lontano da una produttività legata a ritmi funzionali e determinati.

Roberta Valtorta: “Gabriele Basilico e Milano: un legame particolare”

Pattinare fa ridere

Se camminare è un’attività riflessiva, e fa pensare, pattinare fa ridere, trasforma ciò che è statico in dinamico e ogni luogo di transito in uno spazio ludico.

Alicia Kopf in “Io e il mare” uno dei contributi in “The passenger: Barcellona”

Il vuoto come protagonista di se stesso

Non penso di fotografare il vuoto nel senso di una mancanza di presenza, ma fotografo il vuoto come protagonista di se stesso, con tutto il suo lirismo, con tutta la sua forza, con tutta la sua umanizzante capacita di comunicazione, perché il vuoto nell’architettura è parte integrante, persino strutturale del suo essere.

Gabriele Basilico in “Architetture, città, visioni”

La memoria nel ghiaccio

La visita a Punta Linke rappresenta un’esperienza diversa rispetto a quelle che si possono provare in altri contesti del primo conflitto mondiale. Prima di tutto Punta Linke non è un museo della Grande Guerra: gli spazi museali sono progettati solo per esposizioni visuali creando così un “silenzio olfattivo”. E invece a Punta Linke l’esperienza più profonda è proprio quella dell’odore, quello che emanano ancora i copriscarponi, la carta catramata, il motore, il legno della baracca: è lo stesso odore che essi emanavano cento anni fa e che il ghiaccio ha intrappolato fino ad oggi.

(…) A Punta Linke la guerra è il suo odore.

Franco Nicolis in “Il passato che ci viene addosso”, testo introduttivo del volume “La memoria del ghiaccio: archeologia della grande guerra a Punta Linke”

Luigi Ghirri su Walker Evans

… con il suo lavoro si entra in una relazione di affetto, quasi un principio di innamoramento; i luoghi, gli spazi, i volti diventano immediatamente riconoscibili, familiari, abitabili. Nessuna violenza, nessuno choc, visivo o emozionale, nessuna sdolcinatura; quello di Evans è uno stato di «tenerezza» nei confronti del mondo, una sensazione di unità e sintonia. Ogni parte del paesaggio, dai tetti delle case alle insegne sui muri, sembra attendere che si posi lo sguardo amorevole di Evans per essere riconosciuta. Nessuno steccato oltre la casa per esilii definitivi o provvisori.

Luigi Ghirri in “Niente di antico sotto il sole”