Ricordare è lo stesso che immaginare
Federico Campbell
Fino al 4 giugno 2023 – Rovereto, Museo della Guerra
Le immagini in mostra sono state scattate a Sarajevo tra il 1992 ed il 1996, nei lunghi giorni dell’assedio e nei mesi immediatamente successivi. Nel suo lavoro di fotogiornalista, Mario Boccia non ha mai voluto forzare le immagini. Ha scelto di lavorare sulla resistenza civile della città, cercando di raccontare il dramma senza mostrare il sangue. Come ha detto Benjamina Karić, sindaca di Sarajevo, bambina durante l’assedio, Boccia ha “fotografato la vita, non solo la guerra”.
Il Museo Storico Italiano della Guerra e Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa hanno scelto di aprire una finestra su una guerra lacerante e vicina nel tempo, quella nell’ex Jugoslavia, che grazie al vivido racconto fotografico di Boccia diventa uno squarcio sul presente.
A Sarajevo, da giornalista, ha goduto dell’ospitalità di tanti suoi cittadini. È stato testimone della loro determinazione nel difendere i valori di un’identità molteplice, costruita in secoli di vita in comune. Il legame con la città e con alcuni di loro è ancora oggi fortissimo.
Boccia ha scelto di fotografare gli assediati, ma anche gli assedianti, attraversando spesso le linee del fronte, nella convinzione che “identificarsi con le vittime è facile e rassicurante, ma può essere ipocrita. Al contrario, mostrare quante affinità possono esserci con i cattivi è necessario per capire come il fanatismo ideologico e la guerra riescano a stravolgere valori umani elementari. Riflettere su questo, ci aiuta a produrre i necessari anticorpi”.
La mostra offre una lucida analisi dell’impatto della guerra su persone, società e cultura e offre uno strumento per sviluppare una coscienza critica rispetto alla storia dei conflitti.
Il Museo della Guerra da alcuni anni ha allargato la propria attenzione anche alla seconda metà del Novecento, con iniziative espositive e culturali che affrontano fenomeni complessi, proponendosi come un luogo aperto al pubblico per interpretare e decodificare i conflitti. Da anni collabora con Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa proponendo alle scuole percorsi relativi ai conflitti nell’area balcanica e nei paesi del Mediterraneo, sulla nascita dell’Unione Europea e sui valori sui quali essa si fonda.
La scelta di curare questa mostra fotografica dedicata all’assedio di Sarajevo nasce dunque dalla volontà di raccontare un conflitto recente, abbracciando una funzione del museo che è anche quella di luogo di interpretazione del presente.
SARAJEVO 1992-1996. L’ASSEDIO PIÙ LUNGO
FOTOGRAFIE DI MARIO BOCCIA
Mostra a cura di Museo Storico Italiano della Guerra e Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa
Testi Mario Boccia, Marco Abram, Luisa Chiodi
Editing digitale fotografie Luigi Ottani
Stampa fotografie Antonio Bizzini (PuntoJpg Stampa Digitale)
Grafica Alessio Periotto – Designfabrik
Traduzioni Neil Waddington
Con il contributo di Provincia automa di Trento e Comune di Rovereto
Da martedì a domenica
Orario 10-18
Ingresso compreso nel biglietto del Museo
Inaugurazione 16.11.2022, ore 18
Tra il 1991 e il 2001 le guerre jugoslave sconvolsero i paesi emersi dalla dissoluzione della Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia, contribuendo a definire l’attuale configurazione geopolitica della regione.
I conflitti ebbero un impatto drammatico sulla vita delle popolazioni coinvolte e assunsero il carattere di “guerre ai civili”. La pulizia etnica fu ampiamente utilizzata allo scopo di distruggere le basi della convivenza e costituire entità politiche “omogenee”.
L’assedio si strinse attorno a Sarajevo nell’aprile del 1992. In seguito alla dichiarazione di indipendenza della Bosnia Erzegovina, le milizie serbo-bosniache, sostenute dall’Armata popolare jugoslava controllata da Belgrado, presero il controllo di alcuni quartieri e circondarono la città. Al contempo, le forze fedeli al governo di Sarajevo si organizzarono in difesa della capitale, confluendo nella costituente Armija BiH – l’Esercito della Bosnia Erzegovina.
La città rimase sostanzialmente isolata dal mondo esterno, se non per i collegamenti aerei garantiti dalle Nazioni Unite a partire dall’estate del 1992 e per un tunnel sotterraneo scavato nel 1993.
Le immagini di Mario Boccia raccontano gli anni dell’assedio, durante i quali la popolazione affrontò condizioni di vita estreme, subendo costanti privazioni e vivendo sotto il tiro dei cecchini e delle granate degli assedianti che provocarono diverse migliaia di vittime civili.
Protagonisti degli scatti sono le persone, che mostrarono una straordinaria capacità di resistenza culturale, testimoniata dalle iniziative di creatività individuale e dagli eventi che accompagnarono la vita cittadina di quegli anni, e i luoghi, in una città che venne ferita anche nei suoi edifici simbolici, tra i quali la Biblioteca nazionale, colpita e incendiata da una granata nell’agosto del 1992.
Ad inizio settembre del 1995, l’operazione militare Deliberate Force – condotta dalla Nato sotto l’egida delle Nazioni Unite – colpì le postazioni serbo-bosniache permettendo un allentamento della pressione sulla città.
Il Governo della Bosnia Erzegovina dichiarò ufficialmente cessato l’assedio il 29 febbraio 1996, in seguito al ritiro complessivo delle forze assedianti.
Una sezione della mostra è dedicata anche alle iniziative di solidarietà che videro coinvolti associazioni e cittadini in diversi paesi europei, tra i quali l’Italia. A fianco alle immagini che testimoniano le iniziative umanitarie e le marce della pace (la “Marcia dei 500” nel dicembre 1992 e “Mir Sada” dell’agosto 1993 organizzate dall’associazione “Beati i Costruttori di Pace”) sono esposti in mostra alcuni oggetti raccolti da Ambrogio Paraboni, un cittadino italiano che svolse numerosi viaggi umanitari in Bosnia Erzegovina negli anni Novanta e che la famiglia ha recentemente voluto donare al Museo.
Mario Boccia, fotogiornalista freelance, ha realizzato reportage su questioni internazionali e pubblicato articoli e fotografie su molte testate giornalistiche italiane.
Ha lavorato per vent’anni in scenari di guerra e povertà in Europa, Africa, America Latina e Medio Oriente, cercando di individuare segnali di speranza anche nelle situazioni più disperate.
È stato corrispondente e inviato de “il Manifesto” da Sarajevo, Belgrado, Pristina, Skopje, Dyarbakir e Baghdad. Le sue foto sono state utilizzate per promuovere campagne di solidarietà di varie ONG, organizzazioni no-profit, e Agenzie delle Nazioni Unite.
Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa, oggi unità operativa del Centro per la Cooperazione Internazionale, è nato nel 2000 in risposta al bisogno di informazione e dibattito espresso dalla società civile impegnata per l’integrazione dei Balcani nell’Unione Europea. OBCT è oggi un think tank che si occupa di sud-est Europa, Turchia e Caucaso ed esplora le trasformazioni sociali, politiche e culturali di sei paesi membri dell’Unione Europea (UE), di sette paesi che partecipano al processo di Allargamento europeo e di buona parte dell’Europa post-sovietica coinvolta nella politica europea di Vicinato. OBC Transeuropa promuove la costruzione dell’Europa dal basso sviluppando relazioni transnazionali e sensibilizzando l’opinione pubblica su aree al cuore di numerose sfide europee.
Originale in https://museodellaguerra.it/mostra/sarajevo-1992-1996-lassedio-piu-lungo-fotografie-di-mario-boccia/
Gli edifici, guardati uno per uno, non hanno niente di eccezionale, che giustifichi un così intenso disagio. Ma il peso delle deficienze, delle contraddizioni e degli errori che si sono constatati nei lavori per il nuovo piano regolatore, grava su queste architetture con impressionante evidenza; lo sforzo positivo fatto eventualmente da ogni progettista per reagire a questi fatti si esaurisce nell’ordine interno degli edifici, e agisce in scarsissima misura sull’ambiente; così, per una ragione sottile, questi edifici si ignorano del tutto fra loro, e non compongono un quadro né bello né brutto: sembrano piombati lì in quel momento, come tante astronavi.
Se l’architetto si chiude nei limiti della sua specializzazione, nell’illusione di preservare almeno il campo del disegno immune da concessioni, la battaglia è perduta in partenza. Bisogna che l’architetto esca all’aperto, e si proponga di unire l’impegno architettonico e l’impegno urbanistico, come parti di una stessa responsabilità.
da “Il piano regolatore di Roma” di Leonardo Benevolo in “L’architettura delle città nell’Italia contemporanea”
Penso che oggi bisogna continuare a pensare che fare fotografia … significa … continuare a pensare alla fotografia come desiderio, immagine dialettica, e forse utopia, per mostrare all’altro il nostro stupore nei confronti del mondo (continuare a pensare e ritenere che prima di artista o fotografo, o consumatore, si e persone) e che da questa semplice constatazione o progetto nascono il fare, le percezioni e i sentimenti.
Luigi Ghirri in “Niente di antico sotto il sole”
A “caldo” [oggi forse un po’ meno in quanto si tratta di un post dello scorso anno] non posso che fare le congratulazioni all’autore Alfredo Bosco. Non credo sia stato facile leggere in maniera cosi precisa il proprio territorio nella sua parte forse meno bella. È molto piu facile documentare ciò che di bello c’è o c’è stato aggiungendo in quest’ultimo caso un po’ di effetto nostalgia…
Segno il sito dell’autore http://www.alfredobosco.com per le prossime perlustrazioni…
Riporto di seguito il link del suo intervento sul canale Instagram di myphotoportal: https://www.instagram.com/tv/CZwIvXzgYp4/?igshid=YmMyMTA2M2Y=
Mi sono abituato, da quando ho imparato a servirmi della macchina fotografica con soddistazione, a concentrarmi e convivere con la normalita, più che con la bellezza. Mi interessano i paesaggi urbani anche dove non c’è bellezza, ma mediocrità, disordine, incertezza. L’intento e trovare l’approccio interpretativo che mi può rivelare il senso di questi luoghi, che me li fa comprendere, accettare come qualcosa che malgrado tutto ci appartiene, e con i quali possiamo convivere.
Gabriele Basilico in “Architetture, citta, visioni”