"Ingegnere per vocazione, fotografo per passione"
 

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Buona notte a tutti!

Differenze di genere e bicchiere mezzo vuoto (o mezzo pieno?)

L’altra sera ho ascoltato la dissertazione di una stimata professionista sulle differenze di genere nell’ambito lavorativo con particolare riferimento al settore delle libere professioni.

Oltre a giuste rivendicazioni inerenti una maggior considerazione delle difficoltà che una donna deve affrontare durante la gravidanza e in particolare negli ultimi due mesi, una parte del discorso è stato incentrato sul maggior reddito, a parità di impegno, che le rilevazioni statistiche certificano per i professionisti di sesso maschile rispetto alle professioniste donne.

Se non ricordo male la differenza di guadagno raggiunge mediamente il 30% perché i clienti delle donne professioniste sono meno facoltosi rispetto a quelli dei colleghi maschi o si rivolgono alle donne per cause meno impegnative e quindi meno lucrative; ciò sembrerebbe dovuto al fatto che il professionista “uomo” può organizzare il proprio orario di lavoro seguendo le esigenze dei propri clienti senza vincoli di tipo “familiare” per la cura dei figli.

A questo punto vediamo però il problema dall’altro altro punto di vista: molto probabilmente il professionista “uomo” non può esimersi da questo tipo di orario lavorativo con la relativa conseguenza di avere meno tempo a disposizione da dedicare alla propria famiglia e ai propri figli.

Alla fine cosa è il 30% in meno di reddito se compensato dalla fortuna di poter accudire, allevare, e veder crescere i propri figli?

Solo il bene ha profondità e può essere radicale.

Ecco la riflessione di HANNAH ARENDT contenuta nel libro “EICHMANN A GERUSALEMME. LA BANALITA’ DEL MALE” letta ieri sera nella conferenza-spettacolo “Se questo è un uomo”  al teatro sociale di Mori:

La mia opinione è che il male non è mai ‘radicale’, ma soltanto estremo e che non possegga né la profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare tutto il mondo perché cresce in superficie come un fungo. Ed è una sfida al pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, andare a radici e, nel momento in cui cerca il male è frustrato perché non trova nulla. Questa è la ‘banalità’ del male: solo il bene ha profondità e può essere radicale.

Sono convinta che la vita sia bellissima.

Ecco il brano,tratto dal libro di Emanuela Zuccalà “Sopravvissuta ad Auschwitz. Liliana Segre fra le ultime testimoni della Shoah“, che ha chiuso la conferenza-spettacolo “Se questo è un uomo” di ieri al teatro sociale di Mori.

“Quando io testimonio cosa è stata la volontà di rimanere vivi in un contesto come quello dei lager nazisti e della marcia della morte attraverso la Polonia e la Germania, non posso fare a meno di dirlo anche ai ragazzi che mi ascoltano: Non usate mai la frase, non ce la faccio più. Siete tutti mie nipoti: io non voglio parlarvi solo da testimone della shoah,  non voglio farvi vedere solo gli orrori che io ho visto vissuto. Voglio raccontarvi la vita perché sono convinta che la vita sia bellissima.”

… la fantasia, ovvero la libertà.

Ritengo giusto pubblicare e portare all’attenzione anche di chi ieri non c’era un breve passo tratto da “UNO PSICOLOGO NEI LAGER. DIRE DI SI ALLA VITA NONOSTANTE TUTTO” di VIKTOR EMIL FRANKL letto nella conferenza-spettacolo di ieri sera al teatro sociale di Mori:

“Coricarsi su un fianco nudi, per farsi caldo l’un l’altro. Lasciarsi andare alle cose quasi a vivere una vita altrui. Inventarsi immaginarie conferenze, fingersi relatore mentre si scava la fossa per un cadavere nel fango e sotto la pioggia. Guardare senza vedere e concedersi l’unico spazio che le SS non potevano penetrare: la fantasia, ovvero la libertà.”