In questi giorni di avvicinamento al Natale, di luminarie accese e di negozi sempre aperti, sono in molti ad esprimere la propria opinione sull’opportunità di continuare ad estendere sempre più l’orario di apertura dei negozi: da una parte la fazione del SI che vorrebbe poter comprare (o forse solo “passeggiare”) ad ogni ora del dì e della notte, dall’altra il partito del No che vorrebbe mantenere l’apertura dei negozi nel rispetto delle festività e di un orario “vivibile” anche per chi sta dall’altra parte del balcone.
Questa discussione , con i tempi che corrono, è quanto meno complessa: da una parte vi è la necessità di “stimolare l’economia” aumentando i momenti per l’acquisto (nella speranza che vi sia realmente un maggior introito), dall’altra la necessità di consentire alle famiglie di ritrovarsi assieme dopo una settimana di scuola o lavoro e di “gustare” la propria famiglia fino in fondo vivendo appieno tutta la gamma dei colori dell’arcobaleno e non solo i momenti grigi di affanno tra una corsa e l’altra durante la settimana.
In questo ultimo caso tra l’altro, oltre ad un aumento della qualità della vita (purtroppo non misurabile in punti di PIL), vi sarebbe, molto probabilmente, un risparmio per le famiglie dovuto alla minore necessità di ricorrere a beni sostitutivi della presenza dei genitori (videogiochi, cinema ecc.).
Noi, fortunatamente, siamo tra quelli che trascorrono il sabato e la domenica tutti assieme passeggiando, qualche volta, alla luce delle luminarie e dei negozi aperti e, di norma, non ci poniamo il problema di chi sta dall’altra parte del balcone.
Questo sabato però, per me, è un sabato diverso: domani lavorerò dall’alba al tramonto.
Per me si tratterà solo di una giornata ma questo mi consente di capire lo stato d’animo di tutti i lavoratori che domani lavoreranno: questa sera è, per noi, domenica sera e il tempo per vedere l’arcobaleno è già finito: ne vale proprio la pena?
La nostra società domani sarà più ricca (per qualche acquisto in più) o meno colorata per non aver permesso a tutti i gustare tutti i colori dell’iride?
Una buona domenica a tutti.
Collegamento Vallagarina Alto Garda: i problemi sono sotto gli occhi di tutti, la soluzione anche ma tutti fanno finta di non vederla.
Chi quotidianamente – per lavoro, per diletto o per necessità – percorre la Strada Statale 240 del lago di Loppio per spostarsi dal basso Sarca a Rovereto o viceversa, conosce molto bene sia i problemi che incontra lungo il percorso (code e rallentamenti in prossimità dei centri abitati e – nelle giornate più critiche – lungo l’intero tratto da Nago a Mori) che possono essere causa di gravi incidenti o di pericolosi ritardi, sia i problemi causati dal traffico all’ambiente circostante (un’intera vallata – quella di Loppio – con annesso biotopo protetto e un intera zona a vocazione turistica come la fascia lago tra Riva del Garda e Torbole) quali ad esempio l’inquinamento acustico e atmosferico che, oltre a colpire chi abita in prossimità della strada, costituiscono di fatto una barriera insuperabile sul corridoio ecologico tra il gruppo del Baldo e quello dello Stivo.
Chi conosce bene la situazione è però anche in grado di capire quale sia la Soluzione con la S maiuscola: “un collegamento diretto in galleria tra l’uscita delle gallerie di Tierno a Mori Ovest e il centro della Busa (identificabile con la zona del Cretaccio di Arco o, più semplicemente per chi non conosce i toponimi, con la zona industriale di Arco)”.
Questa soluzione, che si potrebbe definire “integrale” nel senso più esteso del termine, risolverebbe le attuali problematiche di tipo viabilistico (a cui è necessario, oltre che doveroso, dare una risposta con un collegamento stradale all’altezza dei tempi e del grande polo turistico, industriale e commerciale quale è e quale sarà – vedi la realizzazione del più grande polo fieristico del trentino – l’Alto Garda), sarebbe facilmente “riciclabile” quando – in futuro – il tipo di mobilità cambierà radicalmente, e costituirebbe infine un importante investimento per i suoi notevoli risvolti urbanistici ed ambientali.
Con riferimento a queste ultime osservazioni ci si riferisce in particolare alla possibilità di:
- “riciclare” la/e canna/e realizzata/e per il collegamento stradale (con pendenza ridotta e costante) per il passaggio di una metropolitana interrata o di veicoli elettrici;
- recuperare dal punto di vista ambientale, e di conseguenza valorizzare anche turisticamente, l’intera valle del Cameras e di Loppio da Mori a Nago, attualmente fortemente limitata nel suo sviluppo dai forti flussi di traffico “parassita” da e per la “Busa”, che costituisce il fondamentale collegamento ecologico tra il Parco del Baldo a sud e la val di Gresta con il gruppo dello Stivo a nord;
- valorizzare l’intera fascia lago da Torbole a Riva del Garda mediante lo spostamento dei flussi di traffico attualmente insistenti sulla SS 240 tra le due località e la creazione di una grande zona a traffico limitato.
Purtroppo questa Soluzione presenta un grosso impegno finanziario che, visto l’attuale periodo di crisi economica, non sembra essere sostenibile dalle finanze provinciali – così almeno affermano i nostri rappresentanti politici.
Anche se ciò fosse vero, la Soluzione “integrale” proposta rimane, in modo evidente, quella con le maggiori ricadute positive sul Territorio e quindi deve costituire la Soluzione da attuare in futuro anche prevedendo una sua realizzazione a stralci (a solo titolo di esempio si può dire che la realizzazione in una prima fase di una sola canna con una piccola galleria di emergenza – da gestire per esempio a senso unico – costerebbe all’incirca come la soluzione C modificata presentata nell’ultimo incontro pubblico di Arco).
La Soluzione, accantonate le posizioni meramente ideologiche, è sotto gli occhi di tutti: allora perché i nostri rappresentanti politici fanno finta di non vederla o di non volerla nemmeno prendere in considerazione?
14.11.2011_L’appello di #IGFITALIA2011 a Mario Monti
Al Professor Mario Monti, Senato della Repubblica
Crisi: per la crescita il nuovo governo deve affrontare lo “spread digitale”
Gentile Professore,
Non abbiamo bisogno di ricordarle l’importanza di Internet, spazio di libertà globale, strumento di organizzazione politica e sociale, sostegno indispensabile dell’economia. Lo “spread digitale” dell’Italia nei confronti dei principali paesi del mondo ha ormai raggiunto livelli insostenibili anche per la tenuta economica nazionale. Ancora più preoccupante, anche in queste ore di straordinaria apprensione per la situazione finanziaria del Paese, è il persistere di una condizione di inconsapevolezza politica e di inazione governativa nell’affrontare tale ritardo che pregiudica gravemente le nostre possibilità di crescita e di sviluppo. In particolare, l’incapacità di affrontare i problemi legati alla diffusione della banda larga è indegna di un paese che voglia restare in Europa.
Non si può aspettare il superamento della crisi economica per investire nel digitale, perché, come sancito dalla Commissione Europea nella Strategia 2020, lo sviluppo dell’economia digitale è una delle condizioni imprescindibili per il superamento stesso della crisi.
Nonostante i ritardi, l’economia digitale rappresenta già il 2% del PIL dell’economia nazionale e, negli ultimi 15 anni, ha creato oltre 700.000 posti di lavoro. Internet non può essere più ignorata. Il Paese non può continuare a rimanere politicamente emarginato rispetto a questi temi. Sono state abbandonate le iniziative che, grazie anche a documenti sottoscritti con altri stati, avevano fatto del nostro Paese un indiscusso protagonista dell’iniziativa per un Internet Bill of Rights nel quadro degli Internet Governance Forum promossi dalle Nazioni Unite. A fronte di questo ruolo, negli ultimi anni l’Italia è stata mortificata dall’inazione e da ripetuti tentativi di limitare la libertà in rete e lo sviluppo dell’economia digitale.
L’Internet Governance Forum Italia 2011 si rivolge a Lei affinché un nuovo governo si impegni concretamente, anche attraverso la nomina di un ministro se necessario, per la piena implementazione di un’agenda digitale in conformità con quanto stabilito dall’Europa. Richiamiamo in particolare l’attenzione sull’accesso ad Internet come diritto fondamentale della persona, come già riconosciuto da costituzioni, leggi nazionali e risoluzioni del Parlamento Europeo e del Consiglio d’Europa; sul riconoscimento in via di principio della conoscenza come bene comune globale; sulla garanzia della neutralità della rete in relazione ai flussi di dati; sulla definizione di uno statuto del lavoro in rete.
26.10.2011_Consulenze, pensionati e giovani frustrati
da L’ADIGE del 26/10/2011
LA LETTERA DEL GIORNO
Caro direttore, escono dalla porta e rientrano dalla finestra. È ciò che spesso avviene nel settore del pubblico impiego e come posso vedere non ne è esente la sanità, compresa quella della nostra Provincia. Così succede che gente che va in pensione viene riassunta, con contratti libero-professionali, a ricoprire di solito il posto che ha da poco lasciato vacante. Così succede che tali professionisti, avendo ovviamentre svariati anni di anzianità, percepiscano pure compensi sostenuti. Così succede che non si liberano posti di lavoro e questo a discapito soprattutto dei giovani che rimangono disoccupati. Per non parlare poi delle consulenze sempre in regime di libera professione e a tempo determinato che talvolta diventa quasi un tempo indeterminato (vi sono consulenze date per anni e anni) in barba ai concorsi.
Per fortuna che siamo nel pubblico! Questa facilità nel distribuire tali consulenze e contratti penso vada rivisto e soprattutto ridimensionato e regolamentato, in modo che vengano concessi esclusivamente a chi nella sua vita lavorativa si è particolarmente distinto, o per speciali competenze, tanto da rendersi quasi insostituibile. Per il resto lasciamo spazio ai giovani, in modo che inizino il loro percorso lavorativo, le loro esperienze e soprattutto incomincino a costruirsi la loro pensione, quel po’ di pensione considerato che l’accesso alle strutture ospedaliere avviene solo a specialità acquisita (normalmente dopo i 32 anni) e con l’espletamento dei relativi concorsi su posti resisi vacanti e disponibili. Ma se questi vengono a loro volta occupati dai neo-pensionati? Egregio Direttore, mi piacerebbe avere una sua opinione di certo più competente ed esaustiva della mia.
Enrico Fiorone – Dirigente medico Ospedale di Fiemme
LA RISPOSTA DEL DIRETTORE
Dobbiamo distinguere: una buona fetta delle spese di consulenza dell’ente pubblico (anche nelle liste che periodicamente pubblichiamo sull’Adige) riguarda prestazioni sostitutive di assunzioni che magari non si possono fare, o che avrebbero un limite nel tempo. Accade, infatti che, – causa il blocco delle assunzioni nell’ente pubblico, o il patto di stabilità, o altre ragioni ancora -, in alcuni casi si provveda ad assegnare incarichi di consulenza sostitutivi di assunzioni per espletare il carico di lavoro altrimenti inevaso. In tali situazioni, costituisce un espediente per far lavorare senza poter assumere.
Diverso è il caso delle consulenze affidate ad esterni, nonostante all’interno dell’ente pubblico esistano le professionalità che potrebbero ottemperare a quel compito. In tal caso assistiamo ad un danno doppio per la collettività: 1) le risorse professionali interne vengono frustrate e inutilmente sottoutilizzate; 2) si spendono soldi in più (spesso parecchi) per premiare altri, secondo criteri di scelta non sempre ben chiari e comprensibili. L’uso e l’abuso di consulenze di questo tipo va decisamente stigmatizzato e denunciato. Da parte nostra, teniamo sempre alta la guardia rendendo pubblici tali incarichi, in modo che si conoscano, e chi se ne fa promotore sia costretto a motivare pubblicamente le ragioni che hanno portato a ignorare le risorse interne per pescare altrove.
Infine c’è una terza categoria di consulenze. Ed è quella dei pensionati, cioè di chi ha coperto un’ufficio per una vita, e continua ad occuparlo anche una volta andato in pensione. Ora, se si tratta di una soluzione tampone, un rimedio-ponte, in attesa di individuare al meglio il sostituto (e pertanto contenuta in tempi brevissimi), può anche starci. Se invece, come accade di frequente, è uno stratagemma per aggirare la quiescenza, e mantenere in comando le proprie pedine, allora anche qui è doppiamente redarguibile. Primo perché costituisce un tappo nella Pubblica amministrazione (e nella sanità). Secondo perché non fa crescere nuove professionalità e non fa maturare quelle esistenti. Un contenimento dell’uso (abuso?) delle consulenze è pertanto non solo auspicabile, ma necessario.
p.giovanetti