Solo oggi ho avuto modo di leggere questo bell’intervento di Giorgio Lunelli effettuato il 14 dicembre 2011 in consiglio provinciale.
Consiglio a tutti una sua lettura!
Solo oggi ho avuto modo di leggere questo bell’intervento di Giorgio Lunelli effettuato il 14 dicembre 2011 in consiglio provinciale.
Consiglio a tutti una sua lettura!
sul tema segnalo il commento di Eraldo Tonelli pubblicato sul suo blog:
L’articolo di oggi a firma del giornalista Gian Antonio Stella mi ha ricordato la mia vecchia maestra delle scuole elementari e il suo modo “elementare” (per l’appunto) di spiegare l’autonomia della nostra regione e di quella di altre 4 regioni italiane: ricordo infatti che la motivazione principale (quella che, forse, da giovane scolaro ritenevo più importante o – più probabilmente – quella che alla maestra sembrava la più semplice da spiegare) era la vicinanza delle cinque “fortunate” regioni alla linea di frontiera.
Se tale elementare semplificazione poteva essere perdonata alla mia maestra (che doveva spiegare a noi bambini – possibilmente con parole semplici – il perché e il valore della nostra autonomia) leggere che quasi le stesse parole sono attribuite ad un giornalista che stimo per il suo impegno civile è piuttosto triste.
Questa semplificazione, infatti, non è ascoltata solo da una classe di giovani studenti ma da decine di migliaia di lettori italiani che non conoscono il significato vero e completo della parola “autonomia” nel contesto trentino e quindi può contribuire a formare un’idea non corretta della situazione trentina.
Anche se sicuramente qualcosa può essere corretto – e quindi ben venga un utile stimolo ad interrogarsi sul ruolo delle comunità di valle o delle circoscrizioni comunali e su come migliorare il funzionamento di entrambe al fine di valorizzare la partecipazione popolare e ottenere economie di scala e maggiore qualità dei servizi pubblici – occorre ribadire che i confronti (di costi, di dotazioni, di investimenti) non possono essere fatti in modo semplicistico; ciascun dato deve essere ponderato sulla base delle maggiori competenze regionali o provinciali che in molto casi sono sensibilmente maggiori rispetto alle altre regioni italiane (da qui la necessità di un maggior numero di dipendenti pubblici) e soprattutto sulla base dei maggiori livelli qualitativi (con riferimento per esempio alla scuola o alla sanità).
Purtroppo anche molti trentini e tra loro molti politici semplificano in maniera eccessiva il significato della nostra autonomia; si assiste così, da una parte, a una mancanza di responsabilità nella gestione della cosa pubblica e, dall’altra, a una mancanza di consapevolezza di quanto sia importante la partecipazione e il contributo di tutti nella gestione della nostra autonomia.
Partendo da ciò che dice Gian Antonio Stella “Sarebbe un delitto se, in cammino verso il federalismo, l’Italia mettesse in discussione le autonomie esistenti. Ma chi quelle autonomie le ha deve usarle sobriamente.” credo che, per consentire alla nostra autonomia di crescere e migliorarsi di giorno in giorno, sia necessaria l’apertura di un “vero cantiere” volto sia alla formazione di una classe dirigente capace di valorizzare ciò che i nostri predecessori ci hanno consegnato, sia alla diffusione di un forte tessuto culturale e conoscitivo in grado di far emergere, da noi cittadini, i veri bisogni del nostro territorio.
In questi giorni sul tema dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori si è accesa una discussione molto probabilmente esagerata e sicuramente esasperata nei toni.
Credo che ciò, più che da motivazioni reali, sia condizionato da posizione preconcette sia da una parte che dall’altra.
Facciamo un passo indietro e ragioniamo insieme con calma ponendoci questa domanda: “Quale è la finalità che il legislatore voleva raggiungere con l’approvazione nello Statuto dei lavoratori di questo ormai famigerato articolo (di cui tutti conoscono il numero ma pochi il contenuto)”?
Molto probabilmente la preoccupazione del legislatore era quella di tutelare i lavoratori (letteralmente “persone che lavorano”) nei confronti di alcune decisioni (arbitrarie) dei datori di lavoro nei confronti dei propri collaboratori
Una così importante tutela deve però essere riservata anche al datore di lavoro e alla sua impresa, sia pubblica che privata, nei confronti di un “lavoratore” (nella sua definizione ricordata prima) che non si potesse più considerare tale per assenteismo, scarso rendimento, assenze ingiustificate , false malattie ecc.: l’articolo 18 (che recita “Reintegrazione nel posto di lavoro”) deve quindi valere per i licenziamenti effettuati “senza giusta causa o giustificato motivo” mentre non deve essere applicato per tutti quei licenziamenti in cui la giusta causa o il giustificato motivo esistono.
Alla luce di questo ragionamento l’abolizione dell’articolo 18 non serve; quello che serve è invece una sua applicazione più equa con la quale, al contrario di quanto succede oggi (alcune volte con una forte responsabilità del sindacato), si dia lo stesso credito ai due attori coinvolti (datore di lavoro e lavoratore) riservando ad entrambi lo stesso trattamento e la medesima tutela della propria attività.