Italo Calvino, in “Le città invisibili”, afferma che “Raramente l’occhio si ferma su una cosa, ed è quando l’ha riconosciuta per il segno di un’altra cosa: un’impronta sulla sabbia indica il passaggio della tigre, un pantano annuncia una vena d’acqua, il fiore dell’ibisco la fine dell’inverno.
Tutto il resto è muto e intercambiabile; alberi e pietre sono soltanto ciò che sono.”
Giusto. Tutto giusto a meno che…
A meno che non si voglia misurare lo spazio mettendolo in relazione con gli avvenimenti del passato.
A quel punto tutto diventa visibile perché come dice Calvino in un altro passo del libro “la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole.”
Con la mia fotografia cerco (sperando di riuscirci) di fare questo e, in un suo modo particolare, il lavoro che presenterò sabato 6 ottobre a Ronzo-Chienis (Gardumo 17.18) (vedi evento fb: https://www.facebook.com/events/2346903478865877/) ha seguito questo tipo di approccio.